Già da ragazzina sentivo un forte richiamo verso il mondo olistico, tanto da iniziare il mio percorso di Reiki alla fine delle scuole medie, mentre leggevo libri che aprivano la mente verso spazi legati alle energie e alla comprensione delle cause profonde.

Avevo la sensazione che non potesse che essere così il meccanismo vero della vita. C’è da dire che in famiglia sono sempre stati usati prodotti omeopatici, fiori di bach e rimedi naturali, e questo deve aver contribuito a spingermi in una direzione più ampia, senza quasi accorgermi. Da metà delle superiori ricordo il desiderio forte di studiare medicina, che è rimasto come un faro a guidare i miei passi. Non mi ero posta nemmeno un’alternativa mentale, ricordo persone che mi chiedevano “e se non entri?” e la mia risposta testarda continuava a essere “io voglio fare medicina”.

Non ho incontrato eventi o situazioni che mi mettessero in crisi su questa scelta, perché ero partita già da un punto non così materialistico e meccanicistico. Ho dovuto imparare nel tempo a tenere insieme le varie conoscenze, senza isolarle in “compartimenti stagni” dentro la mia testa, e imparare a far comunicare le parti più scientifiche di ciò che studiavo con quelle più spirituali. Mi ha aiutato in questo la vita stessa, con diverse persone che ho incontrato sulla mia strada.

Un punto di svolta interessante, emerso con chiarezza appena negli ultimi mesi, è stato prendere coscienza che c’era bisogno di rendere più visibile ciò che sono e ciò che faccio. Ho avuto inconsciamente paura di non essere compresa e accettata “dagli altri”, e la mia “soluzione” era stata quella di nascondermi dagli altri (mostrandomi solo a pochi), ma anche di nascondermi a me stessa. Mi sono stupita nel presentarmi a una nuova amica, raccontarle un po’ di chi sono e cosa faccio, e di rendermi conto, sbigottita, di non saperlo nemmeno io. Questo ha attivato molti processi interiori. Ho accettato che non potrò essere apprezzata da tutti, alcuni magari non capiranno chi sono o cosa faccio, ma ho trovato il coraggio di affermare che io sono questa, e ho fiducia che incontrerò persone, sulla mia strada, che risuonano della stessa frequenza e con cui costruire insieme.

Ho partecipato negli anni a numerose conferenze, dove ho potuto scoprire che molti scienziati lavorano e studiano anche aspetti non ancora ordinari, come l’influenza del pensiero collettivo sulla realtà, o i fenomeni di coerenza cardiaca. Ci sono molte ricerche che studiano come il corpo usa la luce per mettere in comunicazione le cellule, per esempio.  La ricerca scientifica che studia la coscienza nella biologia mi ha entusiasmato, e mi ha permesso di approfondire su diversi temi.

Un importante incontro che mi ha permesso di osservare più da vicino l’interazione tra spirito e materia, nella pratica ambulatoriale, è stato quello con l’amico e collega Ivano H. Ferri. Ivano è un oncologo, che si occupa di oncologia integrata

L’ho incontrato “per caso” (se così si può dire, visto che, a un certo livello, ritengo che il caso non esista) diversi anni fa e per poco più di un anno l’ho affiancato nelle sue visite in ambulatorio. Ho visto come riusciva tante volte a toccare l’essenza delle persone e in questo modo le terapie prescritte funzionavano in un altro modo.

Un altro punto significativo nel mio cammino spirituale e quindi anche nel mio modo di intendere la medicina è stato l’aver iniziato a frequentare la comunità di etica vivente, in umbria, che con i suoi corsi e le sue esperienze in gruppo fa un esperimento di crescita psicospirituale attraverso il gruppo. In particolare è stato per me un punto di grande apertura la frequenza di una scuola triennale incentrata sulla guarigione. Partiva da insegnamenti di saggezza ma anche dalle esperienze di ciascuno, per andare a comprendere più in profondità gli indizi seminati dall’anima che vuole far scoprire il suo disegno, talvolta anche attraverso malattie o sintomi o incidenti, che diventano così esperienze che possono trasformare la coscienza. 

Ho imparato molto lavorando su di me in quel modo, ed è diventata una mappa interiore che mi guida, anche nel mio lavoro con gli altri. Ho imparato nel tempo che il senso di ciò che ci accade non sempre è evidente nel momento in cui accade e che altre persone mi possono aiutare ad accelerare i processi di comprensione. Ho scoperto che cambiare la prospettiva da cui osservo qualcosa mi cambia tutto. Ho scoperto che non posso cambiare le situazioni esterne, ma ho il potere di trovare nuove vie interne di reazione. Ho scoperto che guarire, per me, significa diventare più interi: raggiungere quella parte che non è capace di comunicare con le altre parti di me, contattarla con amore e farla esistere. Questo innesca tanti meccanismi a catena che si possono anche ripercuotere sul piano fisico: perché come studia la PNEI, ogni cellula è in grado di sentire pensieri ed emozioni, e le può tradurre in comunicazioni elettriche e ormonali.

Quello che sperimento continuamente nella mia vita lo porto nello spazio dell’ambulatorio: porto così una testimonianza diretta di un processo, non solo qualcosa che ho studiato. E penso che l’esperienza diretta crei un’atmosfera diversa nella relazione, anche senza dichiararla verbalmente, tante volte. Così nel mio lavoro cerco di incontrare l’anima dell’altro: credo che sia necessario orientarsi sempre di più verso quel piano per avere risposte e comprensioni. Lavoro sul senso profondo di ciò che accade (non ho io le risposte, ma metto il mio cuore e la mia piena presenza nella relazione terapeutica, per facilitare l’altro).

Credo nell’integrazione di varie tecniche, che si possono studiare e approfondire, ma credo anche nell’integrazione tra le varie parti dell’essere, tornando ogni volta al centro, abitando in modo sempre più stabile lo spazio del proprio cuore, e dando spazio alla voce interiore.

Ho osservato che tecniche a intermediazione corporea, come possono essere la terapia craniosacrale o la calatonia, possono facilitare il processo di contatto con parti di sè dimenticate, aiutando a sciogliere tensioni anche profonde e diventando interi. E di sicuro toccare il cuore, anche “solo” con lo sguardo o con la presenza, aiuta.

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